ALDA MERINI, a 90 anni dalla nascita (21 marzo 1931-2021)

“Sono nata a Milano il 21 marzo 1931, a casa mia, in via Mangone, a Porta Genova: era una zona nuova ai tempi, di mezze persone, alcune un po’ eleganti altre no. Poi la mia casa è stata distrutta dalle bombe. Noi eravamo sotto, nel rifugio, durante un coprifuoco; siamo tornati su e non c’era più niente, solo macerie.” (intervista del 2004)

Sono nata il ventuno a primavera (da Vuoto d’amore, Torino, Einaudi 1991)

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

“Il 21 marzo è la festa mondiale della poesia, ma il 21 come inizio della primavera è un caso, primavera è folle perché è scriteriata, perché è generosa. Però incontra anche il demonio. E io l’ho incontrato il demonio. Era il manicomio” (A. Merini)

Il questo testo di Alda Merini l’io lirico coincide con l’autrice. Il ritmo di questa poesia è lento e sereno.

Sono presenti due rime baciate (folle-zolle, sera-preghiera), ma i restanti versi non seguono uno schema metrico preciso.

La sostituzione del mese di Marzo con la stagione nel verso iniziale potrebbe essere considerata una sineddoche. Alda Merini sostituisce ‘marzo’ con la stagione (la primavera)  perché il 21 marzo è il giorno nel quale comincia la primavera “astronomica”, ovvero la stagione che dà inizio al risveglio della natura. Il mese di marzo viene anche definito volgarmente “pazzerello”, per la sua imprevedibilità e variabilità metereologica. La poetessa vuole quindi sottolineare che in questo mese c’è anche un po’ di follia, come nel momento del risveglio della primavera e dell’innalzarsi  delle temperature, alternate a brusche ricadute invernali. 

Il secondo verso introduce esplicitamente il tema della follia. ‘Non sapevo’, dice la poetessa, ‘che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta’. Alda Merini reclama l’innocenza e rivendica gli atti folli alla loro primordialità. Il richiamo alla Natura si fa invece più esplicito nel terzo verso ‘aprire le zolle’: l’aratura , che spacca la crosta dura che l’inverno lascia sui campi, è una metafora per dire che veniamo messi in contatto con il mondo esterno. Proserpina, qui simbolo anche del raccolto e della fertilità, in quanto figlia di Demetra; infatti piange vedendo piovere sulle erbe, poiché anche lei non sa la ragione di quella ‘tempesta’. Proserpina è definita ‘lieve’ ed i suoi frumenti sono ‘gentili’: a questo attributo d’innocenza si contrappone un agente esterno (quello della tempesta che viene scatenata inconsapevolmente, con le sue piogge) violento, intrusivo ed inspiegabile. La poesia si chiude, comunque, con una nota di speranza, di positività. ‘Forse’  dice la poetessa ‘è la sua preghiera’. 

In questa poesia sono presenti temi cari ad Alda Merini, come i riferimenti alla mitologia e alla religiosità cristiana. Il pianto di Proserpina – la pioggia serale che bagna la terra- è anche la sua preghiera di benedizione dei frutti, così come la sofferenza e il pianto dell’autrice sono riscattati dalla poesia, che è una forma di trascendenza, in quanto unisce l’azione creatrice del poeta a quella di Dio.   

Anche in questa poesia emergono i trascorsi della Merini nelle cliniche psichiatriche. Quegli anni per lei sono stati molto difficili e in parecchie sue opere vengono a galla le sofferenze e le privazioni che lei stessa ha provato e vissuto sulla sua pelle, in prima persona. 

Abbiamo scelto questa poesia di Alda Merini poiché parla di una stagione di rinascita (oltre che della sua nascita), a cui lei accomuna la sua follia, che però l’ha portata a scrivere delle poesie profonde, di grande intensità, che hanno sancito il suo successo letterario.

A cura di Elisabetta Pasqualin e Giacomo Chiusolo, 2C

 Canto alla luna (da Vuoto d’amore, Torino, Einaudi 1991)

La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buio a ghermirti nell'anima ferita.

La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.

Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d'amore

Alda Merini dedica questi versi alla luna come tanti altri poeti del passato. L’IO lirico coincide con l’autrice. Il paesaggio in questa poesia non è magico, ma trasmette i dubbi e le paure della poetessa. La luna, personificata, “geme” sul fondo del mare e trasmette uno stato d’animo insicuro e inquietante tra la paura della schiera terrestre, o degli sguardi che si intravedono nel buio, che cercano di afferrare il suo animo ferito. La luna è sempre vicina a noi (sottintende la poetessa) e, anche quando ci stiamo avvicinando alla fine, possiamo sentirne la presenza tra i cespugli infuocati e bruciati dal fato che ci spetta.

A partire dalla terza strofa la Merini parla di sé in prima persona, comparandosi a una zingara, perché non ha mai avuto una dimora fissa nel mondo ma, scorgendo il chiaro di luna, si potrebbe fermare un attimo, il giusto tempo per dare un ultimo bacio d’amore breve e sfuggente al suo innamorato, facendo capire al lettore la vita passata e dolorosa della poetessa che le concede un momento di felicità effimero come questo.

Il tema della poesia è l’amore: lo sfondo è triste e cupo, dato dalla luce fredda della Luna che sottolinea questo ultimo bacio, forse un breve incanto, un’illusione nella sofferenza della malattia psichiatrica che ha segnato la vita della poetessa.

La poesia è divisa in tre strofe, tutte sestine, con uno schema metrico libero.

Nel primo verso della prima strofa è presente una personificazione della Luna che geme, che piange di dolore e trema riflessa sul mare mosso. Al secondo verso è presente la metafora della paura, un terrore mortale della curiosità della gente che vuole indagare il suo animo ferito, la sua sofferenza. Ma ecco sentire, salvifico, l’odore della Luna, che sempre accompagna i mortali e, con il suo chiarore, dona loro la pace della sera.

Nella terza strofa la poetessa con una metafora si definisce una zingara, ovvero una donna che non ha mai trovato né capito il suo posto nel mondo; forse solo il chiarore della Luna può, per un attimo, darle l’illusione d’amore in quel bacio fugace.

I numerosi enjambement e la punteggiatura danno al testo il respiro lento di un lungo monologo interiore. Il linguaggio utilizzato è semplice ma preciso e ardito nelle metafore utilizzate.

Il messaggio che Alda Merini vuole trasmettere al lettore è quello di un’anima sofferente, con un disperato bisogno di amore e affetto che le faccia dimenticare il dolore provocato dalla malattia. Questa poesia ci ha colpito particolarmente perché fa provare al lettore sensazioni intense, tanto che in certi punti la poetessa fa immedesimare il lettore nel suo animo ferito, facendogli provare ciò che lei ha vissuto e combattuto, per fargli capire la sua immensa necessità di sentirsi felice e amata.

A cura di Sofia Gatti e Laura Nausicaa Santoni, 2C

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