Il 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’80° anniversario delle leggi razziali fasciste, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nominò Liliana Segre senatrice a vita per «aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo sociale».
Fino ad un’ottantina di anni fa, la vita di Liliana Segre era molto diversa: ai tempi era una “piccola bambina invisibile”, lei come qualunque altro ebreo con la colpa di essere nato.
Liliana Segre ci espone nel suo libro “La sola colpa di essere nati” come, dopo la promulgazione delle leggi razziali, fu espulsa dalla scuola statale di via Ruffini e i suoi genitori decisero allora di iscriverla in una scuola cattolica, dove si trovò molto bene, grazie alle premurose e accudenti suore. Una volta che Liliana e la sua famiglia si trasferirono a Inverigo, piccolo comune italiano situato nella provincia di Como, la piccola iniziò a studiare con una signora che le veniva a dare lezioni a casa.
Liliana, come ogni bambina, aveva delle passioni e una di queste era quella per il telefono. Ogni volta che squillava correva fino a raggiungerlo per rispondere, fino a quando le fu proibito dai genitori, le fu proibito perché dall’altro capo del filo le venivano urlate minacce di morte.
In questo brano Liliana Segre esprime le emozioni contrastanti provate in quegli anni: come ad esempio quando fu espulsa dalla scuola, evento al quale non ricevette mai una spiegazione concreta, alle sue continue domande, parenti e genitori cercavano di evitare l’argomento, anche perché una vera risposta non c’era mai stata e non c’è tuttora.
Liliana considerava assurda e grave la sua espulsione perché, come ogni bambino e ragazzo sa, queste cose dovrebbero succedere solo a chi viola una regola dell’istituto o non si comporta correttamente. Ma lei, che era sempre stata una bambina tranquilla, perché fu espulsa dalla scuola? Liliana non riusciva a capacitarsi di ciò e in lei iniziò a nascere un senso di colpa, quando di colpe non ne aveva. Si sentiva in colpa per ciò che stava vivendo a causa delle risposte che nessuno le dava e che lei stessa non riusciva a darsi. La piccola Liliana, pur di ricevere una spiegazione a ciò che stava vivendo lei, la sua famiglia e tutti quelli come lei, iniziò ad autoincolparsi per il dolore che lei stessa stava vivendo. Forse in ciò ci rispecchiamo in molti; a volte ci capita di trovarci imprigionati in situazioni dalle quali non riusciamo ad uscire e per questo ci sentiamo deboli, incapaci e un po’ in colpa; quando forse il percorso è solo molto lungo e dobbiamo ancora incontrare la via d’uscita. E alle volte ci sentiamo “piccoli” davanti ad occhi cattivi che si sentono in diritto di giudicare le modalità con le quali una persona metabolizza il proprio dolore e affronta le difficoltà.
Una frase di Luigi Pirandello recita «Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E solo allora mi potrai giudicare».
Il giudizio è suscitato dal disprezzo del diverso dove il più forte prevale sul più debole, proprio come successe agli ebrei a partire dal 1941, anno in cui Hitler poté mettere in pratica il suo progetto di un “nuovo ordine europeo” che rispecchiava l’ideologia nazista e la sua concezione razziale e che affermò definitivamente l’idea dello sterminio totale degli ebrei. In Germania e in tutta l’Europa occupata dai tedeschi era stato creato un sistema di campi chiamati lager; alcuni erano destinati allo sterminio e altri allo sfruttamento dei prigionieri come forza lavoro che, una volta ridotti allo stremo delle forze, venivano trasferiti nei campi di sterminio.
Proprio come disse la Segre, durante il periodo fascista, ogni ebreo era il “bambino invisibile” di quel terribile gioco tra bambini. Invisibile perché era come se nessuno lo vedesse più, come se non fosse mai esistito, ucciso sotto gli occhi di tutti.
Ad oggi la data simbolo per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto è il 27 gennaio, perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz mettendo fine al folle progetto di Hitler.
“Se questo è un uomo”, l’opera più famosa di Primo Levi in cui l’autore racconta le atrocità vissute durante la Shoah, è a tutti gli effetti un “libro della memoria” scritto per impedire all’umanità di dimenticare l’orrore che un uomo causò ad un altro uomo, spingendosi alla follia. “Se questo è un uomo” è una delle testimonianze più importanti di ciò che è stato e che non dovrà mai più essere, da questo deriva l’importanza della giornata della memoria.
A distanza di quasi un secolo l’umanità è stata in grado di imparare dalle mostruosità che la storia ci insegna?
Secondo me no, il mondo sembra abbia dimenticato le sofferenze passate, l’annebbiato sterminio del popolo palestinese ne è la prova.
Nel presente, così come fu nel passato e sarà nel futuro, l’uomo continuerà a sporcarsi le mani con il sangue di bambini innocenti.
Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi
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