«Conviviamo con la paura, o meglio, con le paure. Paure dalle forme e dalle origini diverse: la paura dei ladri, la paura della morte, la paura della malattia, la paura di non farcela, la paura di rimanere soli. Paure legate a qualcosa che sta succedendo qui e ora e paure legate al futuro, a quello che potrebbe succederci o che potrebbe accadere a chi ci è caro. La paura è la nostra emozione più antica»
(M.R. Ciceri, La paura, Bologna, Il Mulino, 2001).
«Mamma ho paura!» è così che voglio iniziare questo tema, con una esclamazione, forse la più significativa e ricorrente che ripetiamo fin da piccoli senza sapere quale grandissimo significato essa abbia.
Tutti a dire: «se hai paura non sei forte!» ma io non la penso così, fin da bambini la paura ci ha protetto, lei ci ha creato uno scudo come se avessimo a disposizione un bottone e quando proviamo paura lo schiacciamo e si alzano delle barriere pronte a proteggerci, comodo vero? Sì, fino a quando queste rimangono perennemente alzate.
Ma partiamo dall’inizio, come afferma Ciceri, nel suo libro, la paura è una delle nostre emozioni più antiche, e quali sono le altre? Quando nasciamo otteniamo cinque emozioni o stati principali: gioia, rabbia, tristezza, disgusto e paura; un po’ come racconta il film “Inside out”. Più cresciamo, più queste emozioni si sviluppano, alcune un po’ di più, alcune un po’ meno, in pratica il nostro carattere si forma, ma ce n’è una che è uguale per tutti: la paura.
Tutti noi che siamo sensibili, affettuosi, freddi, impulsivi, dolci proviamo questa emozione ma non tutti nello stesso modo, ed è qui che nasce il confronto tra i vari tipi di paura: una persona può avere paura della morte, un’altra di rimanere sola, un’altra ancora di non farcela, paure che ogni giorno ci affliggono e ci dobbiamo convivere, ed è quello che ho fatto io, più o meno.
Ciao, mi chiamo Fenice e ho paura; sono nata in una famiglia che la paura “se la mangia a colazione”, dove tutti i suoi componenti si rimboccano le maniche e non guardano in faccia nessuno, finché non compii tre anni e mi diagnosticarono la sindrome di Tourette e neanche due anni dopo l’ADHD, sindrome di deficit di attenzione e iperattività, quella mi sa che fu la prima volta in cui i miei genitori ebbero paura, si ritrovarono con questa bimba che a settembre avrebbe iniziato le scuole elementari non sapendo neanche se sarebbe stata capace di stare ferma un attimo, l’unica cosa in cui confidavano era la mia capacità di socializzare, ero una bambina così estroversa e affettuosa che mi avrebbero sicuramente accettato, ma non andò così, l’unica con cui riuscii a socializzare fu la bidella. Vedere gli altri bambini che giocavano, mentre io stavo ferma sperando che sarebbero venuti a chiamarmi, mi fece salire un po’ il livello di paura ma io volli ignorarlo pensando: «ma va bene così, tanto alle medie andrà meglio».
Iniziai le scuole medie e intanto la mia malattia cresceva insieme a me, tra scuola, psicologa, neuropsichiatra e la nuova cura ero davvero esausta, in più stava iniziando il periodo più brutto della mia vita. Il 22 febbraio 2020 una mia compagna si avvicinò, mi tirò una sberla e disse: “con la faccia che ti ritrovi, magari diventi più bella”, me lo ricordo come fosse ieri, da lì otto mesi di bullismo ininterrotto: messaggi discriminatori, pettegolezzi, violenza fisica, non ero più la stessa; quando lo vennero a sapere i miei crollai a terra in un pianto disperato esclamando: «volevo solo avere una classe!». Quel giorno la vera me si rinchiuse in questo mondo di rose e fiori, dove tutto va per il verso giusto e lo scudo che la proteggeva si bloccò e rimase alzato perennemente. Le mie sindromi si amplificarono da quell’avvenimento, non riuscivo più a controllarmi, non riuscivo nemmeno a programmare la giornata, esistevo solo io e il mondo che mi ero creata per scappare dalla realtà, solo tanto tempo dopo scoprii che questa strategia per non stare male è una vera e propria patologia chiamata “maladattive daydreaming” ovvero “sogno ad occhi aperti disadattivo”, noto anche come disturbo da fantasia compulsiva.
Iniziai le scuole superiori, non avevo aspettative, non credevo più a nessuno, avevo paura, paura che potesse succedermi nuovamente qualcosa di negativo, ed è proprio vero che la vita ti manda le cose al momento giusto: è arrivata questa ragazza silenziosa, si può dire anche impercettibile, che mi ha fatto capire che non sono da sola, come me, lei ne ha passate tante e ne stiamo ancora passando tante insieme, ma il bello di un amico è che arriva quando meno te l’aspetti, quando hai paura e poi “ti senti di nuovo a casa”.
Non ho superato le mie paure, non sono ancora guarita dalle mie patologie, certe volte sento un’ansia dentro di me sconvolgente, ma ho capito che è da quell’ansia che io posso comunque vivere, quindi sì, sono Fenice e sono fiera di avere paura!
Nota all’immagine: La fenice è un uccello mitologico simbolo di rinascita e immortalità, legato al fuoco e al sole. Alla fine del suo ciclo vitale, si consuma tra le fiamme per poi rinascere dalle proprie ceneri. Rappresenta resilienza, rinnovamento e speranza universale.