Recensioni sulla rappresentazione de ‘La locandiera’ di Carlo Goldoni

La rappresentazione de “La locandiera” di Carlo Goldoni, messa in scena dalla compagnia “Il Carro di Tespi”, ha suscitato riflessioni e offerto spunti interessanti. Di seguito, riportiamo alcune recensioni degli studenti.

Venerdì 8 marzo è stato possibile vedere al teatro “Le Stimate” di Verona La locandiera, opera di Carlo Goldoni, scritta nel 1752 e ambientata a Firenze per evitare che venisse censurata a Venezia. La vicenda si svolge in una locanda gestita da Mirandolina, la protagonista e l’attrazione degli ospiti del locale.  Ciò che colpisce è che a quel tempo ci fosse già l’idea che una donna potesse svolgere un lavoro diverso da quello casalingo e addirittura nel ruolo di una padrona, capace di badare al proprio tornaconto economico. Tradizionale, invece, è per la femmina  rappresentare ‘l’oggetto del desiderio’ maschile: Mirandolina viene corteggiata, in questo caso, da un marchese e da un conte e la ragazza non li ferma, per poter godere delle loro grazie e dei loro regali, pur giocando d’astuzia, cioè senza mai concedersi del tutto. La vicenda si conclude in maniera inaspettata ed è questo il bello, perché durante lo spettacolo pensi di sapere come andrà a finire, ma ci sono continui colpi di scena che ti fanno cambiare idea. Si capisce che questa è un’opera di Goldoni dall’utilizzo dell’ironia: in quasi ogni scena c’è quel far intendere, anche indirettamente, la verità, quello smascherare con una battuta i difetti che si vorrebbero tener nascosti (come quando Mirandolina chiama il marchese “Arsura”, facendo riferimento alla sua scarsa generosità).

Emanuela Koomson, 4B

Mirandolina viene rappresentata come una donna forte, lavoratrice e soprattutto che non si fa mettere i piedi in testa, nemmeno da  uomini di un ceto sociale ben al di sopra del suo. L’importante messaggio che trasmette questa commedia è che noi donne valiamo, siamo padrone di noi stesse e, soprattutto, ci meritiamo al nostro fianco una persona che ci metta al suo stesso livello, che ci voglia bene, ci apprezzi e ci rispetti. Giorgia Gherman, 4B

Ecco una bella commedia divertente e leggera! Solitamente odio gli spettacoli a teatro perché tutto mi sembra troppo finto: la scenografia (per ovvie ragioni) è limitata, il modo di fare degli attori è troppo marcato, specie nelle scene fatte apposta perché il pubblico rida, e mi dà quasi fastidio anche il fatto che gli attori siano pochi (qui non c’era nemmeno una misera comparsa!). Nei film è tutto più …di qualità, tutto è più reale: anche solo l’acqua che scende da un rubinetto, le foglie che si muovono col vento, il vento stesso! Chi prova a dirmi che sono una triste ragazzina della generazione z, mente a se stesso e, sotto sotto, ama il teatro solo per l’atmosfera e la tradizione: impossibile che non gli preferisca  un film! Ammetto, però, che, effettivamente, è vero che il clima che si crea in un teatro è tutt’altra cosa: noi spettatori non guardiamo una storia che va avanti su uno schermo, ma che sta avvenendo nel nostro concreto presente e nessuno si permette di non seguire o di chiacchierare, perché in coscienza sente il sincero dovere di portare rispetto a chi sta lavorando lì davanti. La storia in sé mi è piaciuta perché è meno stupida e grezza di come avrebbero potuto rappresentarla prima che Goldoni rivoluzionasse il teatro. Il linguaggio è sì alla buona, ma non volgare, e sono contenta che Mirandolina sia un personaggio rilevante, capace di farsi rispettare (delle storie medioevali, per esempio, mi innervosisce che le donne siano sempre trattate da inferiori, con ruoli passivi). Qui, invece, sono gli uomini che paiono stupidi perché invaghiti della locandiera al punto di perdere denaro e credibilità; ma, d’altronde, Goldoni, da illuminista qual era, ha portato l’autodeterminazione dei suoi personaggi. Dati i miei pregiudizi, sono contenta di aver riso spontaneamente nelle due scene in cui Fabrizio, il cameriere, ha detto “Boia!”. Devo dire che il finale, però, mi ha lasciato dell’amaro in bocca, perché il cavaliere, a parer mio, si è dato più da fare di Fabrizio, soprattutto il suo innamoramento sembrava più sincero e senza secondi fini.

Giulia Carbognin, 4B

La commedia ci mostra una donna indipendente, libera, che segue i suoi sentimenti, ma si serve soprattutto della ragione, come dimostrerà nella scelta finale. La nobiltà viene ridicolizzata e, più velatamente, criticata. La protagonista e l’opera stessa vengono usate a tal fine, mentre esaltano la libertà dell’individuo, anche se di sesso femminile. Infatti la scelta di Mirandolina di sposare Fabrizio non è, probabilmente, dettata neanche dall’amore: la locandiera decide di sposare il cameriere proprio per tutelare la sua libertà. Quella protezione, che le veniva offerta sempre dal marchese, era proprio ciò che lei non voleva. Giulio Rossi, 4B

L’opera risulta illuminista in quanto esalta le nuove classi sociali e la loro importanza: borghesia e proletariato hanno, infatti, la meglio sulla nobiltà. Un altro aspetto rivoluzionario è il fatto che Mirandolina usi gli uomini e non il contrario. Alla fine sposerà un proletario, il che ribalta la piramide sociale di allora. Unico punto dolente dello spettacolo è stata la scenografia troppo semplice, tanto da costringere gli attori a muoversi nella stessa, sempre alla stessa maniera.

Michele Fattori, 4B

Mi ha colpito e fatto riflettere il comportamento di Mirandolina nei confronti del cavaliere, come lei lo illuda solamente per togliersi una soddisfazione personale. Secondo me questo messaggio è sbagliato, soprattutto perché viene fatto passare come una cosa intelligente da fare; tra l’altro non si sa come potrebbe reagire la persona che subisce questa presa in giro, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna. In amore ciò che conta di più è la sincerità. Mi sembra sempre scorretto far soffrire le persone, giocando coi loro sentimenti.

Elia Bellorio, 4B

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