UN LIETO FINE MANCATO

di Megan Karafili

Le nostre vite sono frenetiche a tal punto da esserci abituati a considerare preziosi quei rari momenti in cui le spalle si rilassano e tutto lo stress che
ci appesantisce per un po’ sparisce.  È in quei momenti che ci fermiamo a riflettere veramente su ciò che ci circonda: le  emozioni sui visi della
gente, i comportamenti dei nostri cari o amici che ci paiono strani,  ma che di solito tendiamo ad ignorare, senza fermarci a controllare se è tutto a
posto. Questi momenti dovrebbero essere parte delle nostre routine e non rari episodi in cui la realtà ti cade  addosso, pesante come un macigno.
Non è un caso che io stia facendo qui questo discorso. Mi trovo in uno di quei momenti che dicevo e la realizzazione di aver perso un tassello
importante della mia storia mi ha reso per giorni incapace di muovermi dal letto: fissavo il muro bianco di fronte a me, come se ci fossero scritte le
risposte a tutti gli errori che ho commesso.
Sono sempre stato un uomo fiero della posizione che mi ero guadagnato con la fatica e il sudore, partendo proprio da zero. Infatti, come si può
intuire, non sono nato in una famiglia benestante, anzi: mia mamma ha dovuto fare più di due lavori per poter assicurare a me e alle mie due sorelle
un tetto sulla testa, per non farci mancare l’essenziale.
Nonostante le difficoltà economiche e l’abbandono di mio padre, ho ricordi piacevoli della mia infanzia:  solo una volta cresciuto, mi sono reso conto
che, dietro alla mia felicità per aver ricevuto un giocattolo che desideravo, c’erano tanti sacrifici da parte di mia madre, che metteva al primo posto i
suoi figli, trascurando se stessa fino al punto di perdersi lentamente. Esattamente un anno fa mia mamma ci ha lasciato. È da allora che non parlo
con le mie sorelle. Probabilmente penserete sia per  il testamento, ma la verità è che per anni non ho fatto altro che concentrarmi sulla mia carriera
e sui miei obiettivi. Ho trascurato la mia famiglia, compresi tre pesciolini rossi che ormai sono finiti nello scarico del water, dato che mi dimenticavo
di prendermene cura,  tutto concentrato a capire meglio la mia dolce Selene. 
Non saprei da dove iniziare a spiegarvi come mi sono ritrovato qui a scrivere tutto ciò che mi è successo, forse non so nemmeno io perché lo sto
scrivendo. Questo non è vero: so benissimo perché lo sto facendo. Dopo la morte di mia madre ho cominciato ad andare da uno psicologo ed è
stato proprio lui a dirmi che scrivere spesso aiuta a capire i propri sentimenti, a riorganizzare i pensieri, a trovare nonostante tutto una via di uscita e
io ne ho un bisogno disperato. Così sto provando a mettere su carta le mie emozioni, ma è più difficile di quello che si possa pensare. Nessuna
parola sembra bastare a colmare il vuoto che incombe nello spazio polveroso in cui una volta batteva un cuore ricco di speranze e pronto ad
accogliere chiunque gli desse un po’ di attenzione. Penso sia proprio per questo che io ho trovato in Selene un’ancora di salvezza, ma che non ha
fatto altro che trascinarmi giù, affondare in un oceano di lacrime salate. 
È cominciato tutto in una giornata piovosa di ottobre. Mi trovavo da Starbucks dopo che il mio volo era stato cancellato. Come al solito mi stavo
portando avanti con il lavoro, quando d’istinto mi girai verso l’entrata. Fu in quel momento che la vidi: era circondata da un’aura così raggiante, che
mi domandai se non stessi avendo le allucinazioni. Non aveva un singolo capello fuori posto e il suo sguardo era magnetico. Lo so, sembrerà
banale da dire, ma c’era veramente qualcosa in quello sguardo che mi attraeva, forse il fatto di non aver mai visto due occhi di un colore così
dorato, simile all’ambra. Quegli occhi ero convinto che non li avrei mai più dimenticati: ora sono il mio più grande tormento.
Mi ricordo che dopo averla guardata, persi un buon quarto d’ora  a cercare di trovare le parole adatte per andare da lei e presentarmi. Ciò che
accadde di lì a poco potrebbe essere ricordato nei libri di storia come la più grande figuraccia che esista.
In poche parole avevo già rinunciato a parlarle e mi stavo dirigendo verso l’uscita passando tra i tavoli, quando inciampai nel cavo di un computer
legato ad una presa. Oltre a cadere con la faccia spiaccicata a terra, insieme a me era caduto il computer della sfortunata che si era imbattuta in me
quel giorno. Volete sapere la parte migliore?! Alla fine non feci colpo solo su Selene, ma anche sul suo computer ormai frantumato a terra.  Fu così
che rimediai il suo numero di cellulare e, con la scusa che le avrei ripagato i danni, finimmo per passare ore al telefono parlando del più e del meno.
Un mese dopo decidemmo di uscire insieme, di andare al cinema. Dopo esserci incontrati altre volte scoprimmo di lavorare entrambi per due grosse
aziende della città, io nell’ambito del marketing e lei della comunicazione. Selene aveva la capacità di trovare sempre le parole giuste per ogni
occasione, ma sapeva anche ascoltare con grande attenzione.
Molti si affidano al destino attribuendogli meriti che non ha. L’ho fatto anch’io, ho lasciato che quella donna si prendesse cura della mia anima.
In realtà, dal momento in cui ho incontrato Selene,  mi sono soltanto perso tra illusioni e parole intrise di menzogne.
Dopo qualche mese dalla nostra prima uscita le chiesi di diventare la mia ragazza. Nei suoi occhi lessi emozioni alle quali allora non feci caso più di
tanto: pensai solo di averla presa alla sprovvista con quella proposta; ma ora che ci ripenso, era, più che paura la sua, amarezza, forse, o addirittura
frustrazione.  In ogni caso accettò e da lì ebbe inizio la nostra relazione, se così si può definire. Non essendo cresciuto con un esempio di relazione
felice da parte dei miei genitori, divorziati e in pessimi rapporti, non avevo mai avuto troppa fiducia nelle storie d’amore. Non penso di aver mai
avuto una relazione vera e duratura prima di Selene. Anzi, sono più che sicuro che non avevo nemmeno idea di cosa fosse l’amore. A 25 anni ciò
mi imbarazzava, ma adesso, dopo quel che è successo, credo che avrei potuto vivere molto più tranquillamente nella mia ignoranza. A volte mi
chiedo: e se non l’avessi presentata a tutti i miei amici e colleghi, se fossi stato più riservato, sarebbe andata diversamente? A quei tempi, però,
quel sentimento che provavo ogni volta che Selene mi stava vicina, era la cosa migliore che potesse accadermi e volevo soltanto mostrare al
mondo quel tesoro, come se fosse un gioiello prezioso. Lo so, è un’immagine un po’ materialista, ma non pensavo ad altro e mi domandavo cosa
avessi mai fatto per meritarmi una cosa preziosa come l’amore. Non dico di  essere una cattiva persona e di non meritarmelo, anzi, mia madre mi
ha sempre ripetuto fin da piccolo che dovevo imparare a dire di no alle persone, che mi fidavo di tutti ed ero troppo accondiscendente e generoso,
ma ho anch’io i miei difetti, quello di fantasticare, per esempio.
Tutto comunque sembrava proseguire bene e avevamo anche intenzione di far incontrare le nostre famiglie prima di Natale.
Eravamo alla festa della vigilia, nella mia azienda. Selene attirava a sé gli occhi di tutti gli uomini e delle donne presenti: indossava un abito lungo di
un verde smeraldo  che le stava a pennello, su cui risaltavano la pelle chiara e i capelli ramati. Il verde era decisamente il suo colore e, poiché lo
indossava spesso, l’avevo soprannominata Ariel. Come una sirena, che con il suo canto ammalia i marinai, Selene aveva il potere di catturare
chiunque con il suo sguardo.  Mentre stavo discutendo di borsa con alcuni miei amici, la persi di vista e soltanto dopo mezz’ora sbucò da qualche
parte della sala con il rossetto sbavato e la capigliatura in disordine. Essendo un po’ lontana da dove mi trovavo, lei non si accorse subito che io la
stavo guardando. Soltanto dopo essersi sistemata, mi notò e si avvicinò sorridendo tranquillamente. Non feci in tempo a domandarle cosa fosse
successo che, senza accorgermene, si era già avvicinato un gruppo di colleghi, ognuno accompagnato dalla propria moglie o fidanzata: così mi
ritrovai a dover salutare tutti, uno ad uno. Alla fine della serata ero talmente stanco da aver quasi dimenticato l’episodio e andai a dormire. Non mi
ricordai di quel fatto fino alla mattina seguente, quando, dopo aver fatto colazione, le domandai dove fosse stata quando era ricomparsa così
scombinata…Non è che era stata con qualcuno?!
Devo dire che non prese molto bene quella supposizione, dato che mi ritrovai il segno della sua mano sulla guancia e che lei smise di parlarmi fino
a dopo Capodanno. A mio parere era stata davvero esagerata come reazione, ma ero pronto a mettere da parte il mio orgoglio maschile per far sì
che ricominciasse a rivolgermi la parola.
Fu così che, dopo averla aspettata per mezz’ora sotto casa sua con un mazzo di gigli, fui perdonato. In realtà non era stato così semplice: ho
omesso la parte in cui sembro un povero disperato che le chiede in ginocchio di venire  a convivere, non sapendo che altra soluzione trovare.
Ebbene sì, gliel’ho chiesto proprio allora. Me ne pento? Decisamente. Non perché non fossi pronto, ma perché è stata una decisione presa
d’impulso, senza ragionarci e, guardando a cosa mi ha portato, avrei fatto meglio a pensarci su trecento volte.
Nei mesi successivi, tra il trasloco e i lavori di entrambi, non ci fu più modo di riprendere il discorso,  anche se in vari momenti percepivo una strana
freddezza nei miei confronti. Erano questi i comportamenti a cui non facciamo mai abbastanza caso, di cui scrivevo all’inizio: punti di (s)vista, che
hanno sempre le loro devastanti conseguenze.
A quella sua freddezza seguirono i segreti: a partire dal cercare di nascondere il telefono, seguirono bugie sui suoi orari di lavoro e così via.  Non
appena chiedevo spiegazioni o la prova che non mi stesse nascondendo nulla, sviava l’argomento o finivamo solo col litigare, alzare la voce,
innervosirci. Poi io cedevo, lasciavo perdere: era troppo doloroso per me sentire quel suo tono ostile.

Nel giro di un anno il rapporto sano e duraturo che avevo creato nella mia mente si stava rivelando solo un sogno e ben presto mi ritrovai con mille
dubbi riguardo alla nostra relazione. Selene aveva una capacità speciale: quella di riuscire a convincermi di essere nel torto anche quando avevo
ragione. Così finii per credere di essere io il problema e che avesse sempre ragione lei. Andammo avanti per mesi, tra alti e bassi.
Se potessi dire una cosa al me di allora, sarebbe: apri gli occhi, non ignorare la verità anche se fa male!
Nessuno mi aveva mai detto che l’amore è anche dolore, lo dovetti imparare a mie spese, una mattina qualunque.
Quando mi svegliai quel giorno, non trovando Selene accanto a me nel letto, capii dal silenzio che non era a casa; allora controllai se avesse
lasciato un  messaggio. Accendendo il telefono vidi una ventina di chiamate perse e  numerosi messaggi dal mio capo e dai colleghi. Tra i vari
messaggi ce n’era uno di Alec, l’unico con cui avevo stretto un rapporto di vera amicizia: mi aveva inviato un link. Vorrei non avere mai aperto quel
link: portava ad articolo di un giornale scandalistico che già  dal titolo non prometteva nulla di buono. Infatti, in quelle righe, vi erano descritti i
progetti futuri e le idee per le campagne pubblicitarie di un’azienda che conoscevo benissimo: la nostra più pericolosa concorrente. Immagino che vi
stiate chiedendo cosa ci sia di male in ciò. Ecco, è molto semplice: quei progetti e quelle campagne pubblicitarie erano stati ideati da me, non
ancora resi pubblici e ora che il nostro rivale li aveva dichiarati come di sua proprietà il lavoro di mesi finiva nel cestino. 
La parte peggiore non era neanche questa, ma arrivare all’ultima riga dell’articolo e leggere il nome del giornalista, o meglio della giornalista che lo
aveva scritto.  Penso che ormai si sia capito che per tutto quel tempo Selene mi aveva preso in giro per rubarmi quelle preziose informazioni. E io
che pensavo le piacesse veramente ascoltarmi mentre le raccontavo come andava il lavoro, le mie idee e speranze!             
A quanto pare aveva orchestrato tutto per poter aiutare la concorrenza. Non so se in quel momento fossi più arrabbiato per il fatto che avesse fatto
la spia o ferito nel profondo; probabilmente molto più ferito che arrabbiato, perché mi rendevo conto, dopo quasi due anni di relazione, che, tra i
due, ero l’unico ad essermi innamorato.
In queste pagine ho riassunto come meglio potevo ciò che è stato il mio primo cuore infranto a causa del non voler vedere. Il dolore e le lacrime che
mi sono portato dietro fino ad ora sono stati i miei compagni di vita degli ultimi mesi, in cui, nonostante il danno che ci ha creato Selene, ci siamo
ripresi con fatica e la settimana scorsa mi hanno addirittura dato una promozione, per l’impegno e la fatica che ci ho messo a dare una mano per
salvare l’azienda. Vedete come va il mondo: adesso finisce che faccio carriera perché sono stato un pirla!
Non ho avuto  più notizie di Selene se non per un messaggio che mi aveva lasciato nella segreteria del telefono. Non ho idea di cosa avesse detto
perché non ho trovato mai il coraggio di ascoltarlo. Per una cosa devo ringraziarla, però: per avermi fatto capire cosa significa amare.
Anche se la nostra storia non ha conosciuto il lieto fine che sognavo, non vuol dire che non incontrerò qualche altro affetto in futuro: cercherò di
stare all’occhio, però; oppure quando ci si innamora bisogna lasciarsi andare a una serie infinita di (s)viste?!
Vedremo, intanto veniamo fuori da questa depressione: dopotutto, in molte delle storie più belle che ci raccontavano da piccoli, il protagonista va
incontro a molte sfide e disgrazie prima che il racconto termini con “e vissero tutti felici e contenti”.

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