BOCCACCIO GIOVANI 2022

Pubblichiamo una selezione di novelle che la classe 3B ha inviato al concorso “BOCCACCIO GIOVANI X edizione” I ragazzi dovevano scrivere una novella ispirata al Decameron, immedesimandosi in Boccaccio. Il tema doveva essere: “la nobiltà delle donne”.

A TESTA ALTA

La società spesso in difficoltà le donne mette, specialmente quando codeste intraprendenti e ambiziose sono e al volere altrui si ribellano. Narreremo dunque la storia di una donna che mai per vinta si diede.

Nel tranquillo e verde borgo di Crema, anziani signori in bicicletta andavan e per le vie del paese null’altro che il cinguettar degli uccelli si udiva. Nelle modeste cittadine, si sa, ognun all’altro almeno una volta la mano ha stretto; conosciuti quindi da tutti erano i Barbieri, famiglia prestigiosa che azienda importante avea. Il capostipite, Carlo Barbieri, era quei che l’impresa con grandi sacrifici fondato avea, di lane e raffinati tessuti occupandosi. Il suo unico figlio, poi, ereditata l’intera fortuna, il lavoro del padre portato avanti avea. Costui, chiamato Gianluigi Barbieri, uomo severo era e al pensier antico legato, come eran molti in quel piccolo borgo, dove i moderni costumi guardati con sospetto erano. Gianluigi due figli avea, la cui madre, da molti anni, il Signore aveva con sé presa. Il figliuolo minore, Edoardo, che fin dalla tenera età il mestiere imparato avea, ora un uomo grande e robusto divenuto era. La primogenita, invece, di nome Eleonora, ragazza dai modi gentili, conosciuta in paese per la sua delicata bellezza era. Pochi sapevano, però, quanto intelligente fosse, piena di passioni, virtù e fame di conoscenza, dalla madre ereditata. Ella avrebbe voluto come il fratello il mestiere apprendere, ma il padre, essendo lei donna, neanche per sbaglio ci pensava. Spesso questa società le donne in situazioni di difficoltà mette, con energia doppia obbligandole ad impegnarsi per gli stessi obbiettivi di un uomo raggiungere! Quindi il padre, ormai anziano divenuto, totalmente la volontà della primogenita trascurando, volle l’azienda al figlio lasciare. Eleonora, a conoscenza della scelta del padre venuta, per nulla vinta si diede e di parlare con lui si risolvette. Scesa nei di lui appartamenti, seduto sulla sua poltrona trovatolo, con tono deciso esordì:

– Padre mio, a conoscenza del volere vostro sono venuta! Voi sapete quanto di apprendere la vostra arte io sempre sognato abbia: perché, dunque, a me questo fate? A voi nota è la mia voglia di imparare! Che cosa dal farmi almeno provare vi trattiene?!

 Il padre con tono autoritario rispose:

– Tu una donna sei, a te i lavori di casa spettano. Tuo fratello è un uomo e lui portare avanti l’attività di famiglia dovrà, come io con mio padre feci.

La ragazza, in cuor suo di indignazione tremando, ma risoluta rimanendo, rispose:

– Ciò che dite è ingiusto, voi sapete che io le capacità necessarie possiedo per ricoprire questo importante ruolo che da sempre al primogenito viene affidato. E io primogenita sono e del perché della posizione che mi spetta privar mi dobbiate, punto non mi capacito.

L’uomo allora, indignato, di non risponderle e di cacciarla dai suoi appartamenti decise. Ella però non demorse e per giorni e giorni con tutte le sue forze il severo padre a convincere provò, almeno la sua costanza dimostrandogli. Il sole intanto sorgeva e tramontava in quel di Crema, mentre il padre sempre più debole diventava a causa di una orribile malattia che pian piano consumando lo stava. L’uomo quindi, stanco e rassegnato, di concedere a Eleonora una possibilità alla fine si risolvette: entrambi i figli convocò e la sua proposta loro illustrò.

– Come sapete, io vecchio e malato ormai sono e, poco tempo rimanendomi, capire devo a chi l’azienda lasciare. La mia scelta era già a voi chiara e sono sicuro che mai nessuna donna svolgere potrà correttamente il compito che in tutti questi anni gli uomini Barbieri assunto hanno; essendo però Eleonora così insistente e le mie forze ormai esauste, di mettervi alla prova mi son risolto.

I figli stupefatti si guardarono e l’uomo continuò:

– Domani nella piazza centrale di Crema vi recherete, dove al mercato mattutino parte prenderete. Entrambi gli stessi tessuti avrete e chi riuscirà maggiormente a vendere, in capo l’attività di famiglia avrà.

Fu chiaro a tutti che con questa prova il padre in vantaggio Edoardo metter volea, il quale spesso il padre nelle vendite aiutato avea; al contrario Eleonora, tutto ciò che sapeva, da sé lo aveva imparato, osservando di nascosto gli uomini lavorare. Durante quella notte la ragazza spesso tra le coperte si rigirò, a prender sonno non riuscendo, pensando a come avrebbe potuto sul fratello la meglio avere.

Il giorno seguente i due concorrenti, come in precedenza concordato, al mercato si recarono; la mercanzia sistemarono e la prova iniziò. Dapprima la fortuna dalla parte del fratello pender sembrava, il quale grazie alle sue conoscenze a vendere in poco tempo molti tessuti riuscì. Eleonora, quindi, a temere cominciò, ma per vinta punto non si diede; di prendere la situazione in mano piuttosto si risolvette, in modo più ordinato le stoffe disponendo e ai passanti dei dolcetti offrendo, da lei stessa nella prima mattina cucinati. Edoardo, che la sorella con così tanta padronanza la situazione a gestir riuscisse non aspettandosi, nel panico ad andare iniziò. Dai suoi pensieri distratto, si innervosì e con troppa veemenza a tentar di vendere il più possibile si mise, sguaiatamente urlando e così gli infastiditi clienti allontanando. Eleonora invece, grazie alla sua virtù e intelligenza, i cittadini, soprattutto dalla sua gentilezza colpiti, conquistò. All’ imbrunire il padre le stoffe restanti contò e il verdetto molto lo stupì: Eleonora inaspettatamente il fratello superato avea, la propria astuzia e tenacia utilizzando. Il padre dovette quindi il posto alla figlia lasciare, la quale le redini dell’attività familiare prese, il già notevole prestigio della famiglia Barbieri aumentando e le avversità che via via capitarono sempre a testa alta affrontando.

Questa lieta novella dimostra come le donne, grazie alla loro virtù, a farsi spazio in una società che a loro lo spazio non vuole concedere, alla fine, con tenacia, riescano.

Alice B., Lisa T., Miriana M., Sara R., IIIB

BUCCABELLA

«A chi tocca raccontare per primo oggi? scrive nella chat Giorgia, la regina della giornata; le facce dei maschi spariscono da Meet e compaiono solo i bollini con l’iniziale: è come quando in classe abbassano lo sguardo per non essere scelti. Le ragazze si guardano perplesse e rassegnate attraverso i loro schermi.

«Sono sempre i soliti» fa Emy «che bella compagnia!».

Carlotta sbuffa: «Va be’, bisognerà arrangiarsi come al solito. Ci tocca fare sempre tutto da sole. Debora, tu che taci sempre, la sai una bella storia che dimostri la nostra indiscutibile superiorità?».

Debora: «La nostra nobilità d’animo, vorrai dire!» e ride, con la sua aria furbetta, perché sa già cosa raccontare.

Oberto, duca di Ferrara, in giovane età due bellissime gemelle ebbe. Una, di nome Dulce, fanciulla assai bella e costumata, dal carattere docile e rispettoso; l’altra, Bucabella, di altrettanta bellezza, ma che di un carattere assai più sconveniente era dotata. Con il tempo, modi e preferenze in loro molto si differenziarono: Dulce fedele ai tradizionali panni della donna virtuosa rimase, al contrario di Buccabella che, decisa a seguire passioni e pulsioni sue, molto lontano, dal disegno di femmina che dal mondo richiesto venia, si fece. Un giorno, mentre Dulce per i corridoi del palazzo passeggiava, a uscire nei giardini decisa, da degli strani rumori dalla stanza di Buccabella provenienti, incuriosita, ma altresì preoccupata, di entrare decise: fu così che la giovine allibita dalla scena rimase, ché Buccabella e la loro più fidata ancella, nude e  in atti amorosi e licenziosi scoprì. Dulce, inorridita, a raccontar al padre le azioni impure corse, le amare suppliche  della sorella ignorando. Il duca Oberto, che dei fatti venuto a conoscenza ormai era, in preda alla rabbia e alla vergogna che provato avrebbe se la voce sparsa si fosse, di esiliare dal ducato la figlia immantinente decise, intanto all’ancella pena capitale comminando.   Pochi giorni passarono e Buccabella per strada si trovò, in un paesino senza nome, delle sue ricchezze e dei suoi titoli completamente spogliata. Ore a camminare passò, dal sole cocente stremata, dolente e trista. Finalmente ad un pozzo per dissetarsi si avvicinò e,  una volta abbandonata alla stanchezza, stesa sull’erba si addormentò. Nel frattempo, di lì una nobildonna, Caracosa nomata, con accompagnatrici per una passeggiata transitava; ella così la giovine ragazza accasciata a terra notava e, dalla sua bellezza folgorata, di aiutarla decise. Una volta svegliata, Buccabella di buon grado l’ospitalità della generosa Caracosa accettò così insieme a palazzo si incamminarono. In fretta i mesi passarono e sempre più stretto il  legame tra Caracosa e Buccabella si fece, presto in un amore dolce e proibito sbocciando. Tra le mura del palazzo, le due amanti  tranquille vissero, finché le voci su ciò che ivi accadea all’orecchio dei paesani non giunsero, i quali, inorriditi, le due donne emarginarono e in ogni modo perseguitarono, fonte di ogni disgrazia che il villaggio colpiva ritenendole.  In una calda giornata estiva, a causa dell’impellente siccità, un violento incendio il villaggio colpì e le persone ad abbandonare le loro abitazioni costrinse. Dopo la catastrofe, solo l’imponente reggia di Caracosa integra rimase e gli abitanti a cercare rifugio, da chi più disprezzavano, obbligati furono. Inizialmente, la padrona di casa restia era, ferita dal trattamento che a lei e alla sua amata riservato era stato; ma poi, da Buccabella e dalla sua bontà d’animo spinta, di aprire le porte e di offrire aiuto a chi poco tempo prima disprezzate le avea decise.  L’aiuto di Buccabella e Caracosa per la rinascita della vita del paese fondamentale fu, e col tempo, odio e  disprezzo in gratitudine e riconoscenza si trasformarono.

Quest’ episodio, dell’importanza di non emarginare ciò che è escluso dai canoni della società, esempio è: perché non importa con chi ci si accompagna; a fare una donna nobile il suo animo, la sua generosità e il suo coraggio sempre saranno.        

Carlotta M., Debora S., Emy Z., Giorgia D., IIIB

LA LUPA

Su una montagna, Carega chiamata, in una calda notte d’estate, a nord della città di Verona, una giovane donna di nome Caterina, che nei boschi a passeggiare e a fantasticare usata era, una freccia verso un branco di lupi dormienti scagliò:  l’animale colpito una lupa era, madre di alcuni cuccioli presenti nel branco, i quali, sentendo la lupa gemere e sentendo pure l’imminente pericolo sopraggiungere, insieme a tutto il branco scapparono. Caterina, del suo successo gloriosa,  di portare la lupa in spalla fino in città decise, benché molto impressionante e anche sanguinolento l’animale fosse, perché con i gloriosi uomini e famosi cacciatori della sua vittoria vantarsi volea e il famoso premio, un drappo di vellutata stoffa verde, riservato a tutti coloro che ad uccidere un lupo riuscivano, ritirare.

Dopo un lungo tragitto, la donna in città giunse e, fiera di aver suscitato lo sgomento di molti passanti, la lupa in piazza delle Erbe appese, sotto il baldacchino da dove i proclami per la popolazione analfabeta legger si usava. Fu allora che un grasso uomo dal cappello blu, di nome Ferdinando Bonsignori, le si avvicinò e con aria di superiorità la lupa prese e, alzandola, a tutta la piazza di esser lui il vero cacciatore a gran voce dichiarò. Caterina, tale fedifraga affermazione sentendo, accusando il nobile di dire falsità, fremente rispose. Fu così che i due davanti al giudice in tribunale andarono e tal clamore si fece che tutta la cittadinanza infine al processo assistette, ma, Caterina una donna essendo, la corte improbabile giudicò che essa uccidere una lupa potuto avesse; e l’appartenenza di Ferdinando a una famosa famiglia nobile non di meno alla condanna di Caterina  contribuì. Ella in una umida e puzzolente cella venne chiusa, dove che la sua punizione venisse eseguita per lunghi giorni aspettò. Nel frattempo, tre donne, da lungo tempo al servizio di Ferdinando, al fatto assistendo  e che l’uomo non fosse in grado di uccidere neanche del pollame sapendo, di mostrare a tutta la città che gran fifone lui fosse decisero, prima che Caterina giudicata fosse. Così ben bene attrezzate di tornare di notte, laddove Caterina trovato i lupi avea e di prendere colà dal branco una cucciola di lupo, in una gabbia per uccelli chiudendola, progetto fecero. Il piano perfettamente riuscì, sicché le fantesche con lo strano e straordinario bottino in città tornarono. Quando in casa di Ferdinando furono, la lupacchiotta dentro la sua lussuosa sala da pranzo liberarono. Il mattino, quando questi, alzatosi dal principesco letto, l’animale libero girare per la sua sala vide, giù fuori dalla sua casa urlando, ancora in camicia da camera si gittò, e correndo senza alcun ritegno a gran voce aiuto alle guardie chiese. Resa palese quindi l’impossibilità che il nobile Ferdinando Bonsignori una lupa adulta uccidere potuto avesse, se davanti ad una cucciola in tal modo si comportava, il tribunale comunque di non esprimersi per il premio a Caterina risolvette, che troppa grazia stata sarebbe, ma almeno la donna liberata fu e tornare alle sue passeggiate solitarie su per il monte Carega poté. 

Mattia S., IIIB

SOLE

Un giorno lontano la cui data dimenticata ormai è, in un bosco rigoglioso e fitto a tal punto che il cielo oscurato era, una giovane fanciulla, Sole nominata, presso un fiumiciattolo, di fiori e bacche un cesto di vimini riempiva. Nel medesimo terreno, qualche quercia addietro, un arciere che mai bersaglio sbagliato avea, nascosto nell’ombra ad osservare la ragazza stava, con occhi pieni di Eros, nonostante mai parola rivolto a lei avesse. Nessuna freccia amorosa quella volta a scoccare riuscì, sicché i due ragazzi le loro vite  separate per diverse vie proseguire lasciarono, con Sole all’ oscuro del suo ammiratore e Nicolai che, con sapore in bocca come di cicoria, a cacciar passeri rimase. 

I due giovani vita di castello faceano, differente però il colore dei loro stendardi era: Nicolai verde vestiva e per i Mantovani combatteva; a nord del bosco, invece, Sole il turchese, colore dei Barba, indossava. I due sfortunati giovani passeggiare nel bosco che le due contee divideva soliti erano, ma, seppur i giorni passassero e i venti cambiassero, l’arciere mai, oltre allo sguardo, alla meravigliosa creatura parola rivolger osava, fin quando, un giorno con un’aria diversa, per un’imprudenza a cacciare una lepre scoprire da lei si fece: la giovane Sole la preda inerme verso di sè correre vide, così soccorrevole mano ad essa porse, proprio quando l’arciere, sul bersaglio concentrato, la freccia dall’argentea punta scoccò. Così accadde che, nell’istante seguente, la mano della gentil Sole trafitta fu, che con acuto grido il colpo accusò; per l’arciere il tempo fermo si fece e in quegli attimi per la prima volta lacrime versò che a lui la vista annacquarono, ma non da poter la sagoma di Sole, a lui impressa nella mente, cancellare, bensì ancora più forte rimanere, coi lunghi capelli che d’oro come il sole accecavano; gli occhi che  del mare non solo il colore, ma di esso anche la profondità, aveano; e la candida pelle che, come d’inverno la neve, purezza suggeriva.  In verità Nicolai, tanto nell’animo commosso fu, che subito verso la fanciulla era corso; lei, però, dolorante, la lepre scappare lasciato avea e verso la propria dimora, senza parola alcuna rivolgere al cacciatore, diretta si era. 

L’involontario e sfortunato ferimento non solo a Nicolai, per ciò che il cuore suo provava, bensì alle migliaia di genti che le due contee abitavano, disgraziatissime conseguenze comportò: la donna, al castello tornata, medicata fu e la freccia, levata, che il simbolo dei Mantovani inciso avea, a Re Massimo dei Barba portata fu. Il fatto una guerra verso i vicini regnanti con furia scatenò.  A Nicolai delle conseguenze notizia giunta,  incolparsi del malaugurato gesto suo giusto sembrava, ma coraggio non lo soccorreva; simile pensiero a Sole venne, che, una volta scoperta quale grave piega l’accaduto preso avea, un incontro al padre chiese, che,  con programmi di guerra notte e dì occupato, di presentarsi nella sala più grande del casello la mattina seguente a Sole ordinò.

Il giorno dopo, notizia tremenda arrivò: un grave malessere Re Massimo nottetempo colpito avea, così Sole il comando del suo paese prendere dovette: come prima cosa la vicenda all’esercito del regno spiegò. In men che non si dica le armi e le armature posate furono e un messaggero all’altro regno un messaggio di pace da parte della principessa recò. Lei stessa udienza con il popolo tenne e del tutto la guerra sventò.

Nicolai, che codardia dimostrato avea, finalmente a palazzo Barba si recò e con pazienza Sole attese.  Al suo cospetto nuovamente dall’emozione colto per tale bellezza, rosso si fece, ma finalmente, il coraggio bastevole recuperato, ciò che da mesi sentiva alla principessa dichiarò. Ella con emozione  in un angelico sorriso si sciolse e con soave voce a parlargli si mise; i due con il darsi appuntamento al ruscello nel bosco per il giorno seguente finirono. La sera stessa la principessa al capezzale del padre, per comunicargli tutti gli avvenimenti, si presentò; questi con l’ultimo respiro Sole elogiò e inevitabilmente la carica di regina le lasciò.

Il sole alto in cielo splendea e Sole in basso nel boschetto per il sentiero conosciuto andava finché i due giovani come d’accordo al ruscello si trovarono; da allora quell’ incontro per le gioie di Nicolai abitudine divenne e in successivi giorni il timido arciere di colpire del tutto il cuore della fanciulla capace fu, facendo così l’amore nascere e i regni in pace da quel giorno per sempre rimanere.

Nicholas C., IIIB

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