“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”

“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare” diceva John Belushi  nei Blues Brothers. Nella realtà, invece, capita spesso che, quando le cose si complicano, i sogni crollino e la loro demolizione travolga anche chi si credeva forte.

Spesso, soprattutto noi adolescenti, iniziati alla vita da poco, ci costruiamo sogni e speranze che potrebbero anche realizzarsi… ma anche no. Anch’io, nel mio piccolo, sogno e in particolare negli ultimi tempi sto investendo molte delle mie energie su di un sogno in particolare: ho intenzione di provare a vincere una borsa di studio per un anno all’estero e fino a questo punto tutto bene, se dovesse realizzarsi credo che la fiducia in me stessa crescerebbe molto e porterebbe decisamente più positività nel mio modo di vedere la vita. Oggi, però, provo a concentrarmi di più su cosa accadrebbe se non dovesse realizzarsi niente di quel che spero, se il mio anno scolastico non andasse come voglio o se arrivasse qualsiasi altro tipo di imprevisto (covid docet). Che ne sarebbe della mia credibilità? Della mia positività? Ho deciso di crearmi questo castello in aria a mio rischio e pericolo. Se non dovesse andare a buon fine, le conseguenze morali credo risulterebbero abbastanza disastrose: ma bisogna essere pronti anche a questo, no? Sicuramente andrei a sbattere contro un ostacolo mai incontrato prima d’ora, anche perché sin da piccola sono sempre stata molto terra terra e questa è la prima volta che investo così tanto  in qualcosa di cui non ho certezza. Immaginiamoci un secondo lo scenario della sconfitta: potrebbe avvenire per innumerevoli motivi e in innumerevoli varianti. Vedere l’espressione delusa di mio padre o quelle compiaciute di chi sapeva fin dall’inizio che ne sarei uscita male, sicuramente, per quanto sono testarda, sarebbe un duro colpo: come schiantarsi contro un muro ai 100 all’ora. G. D., IID

Fin da piccola ho sempre sognato di avere persone che mi stiano accanto, che mi vogliano bene e che mi facciano stare bene, soprattutto. In questo periodo, invece, sto avendo delusioni da parte di chi pensavo ricambiasse questi sentimenti. Quando tengo a qualcuno, e ho il difetto di affezionarmi alle persone tanto e subito, cerco di dare molte possibilità, insomma di offrire l’occasione anche di cambiare, solo che non sempre le cose vanno come vorrei. Ci metto sempre di tutto e di più e cerco che quella persona stia bene con me, lasciando in secondo piano me stessa, forse per paura di rimanere da sola. Alcuni, a volte, mi dicono che vorrebbero avere la mia dolcezza e la mia pazienza e io li guardo pensando che da un certo punto di vista sono fortunati a non essere come me, perché, per colpa del mio carattere, molti se ne approfittano, ma non me ne accorgo subito e quando succede sto malissimo, perché penso di aver perso qualcuno che ha dato senso a qualcosa che ora non c’è più. G. C., IID

Sbattere contro un muro, demolire ciò che ci è caro, è successo tante volte nella nostra vita, che non può essere sempre rose e fiori, anche perché, secondo me, è proprio grazie agli sbagli, le cadute, le delusioni che impariamo a stare in piedi, essere felici e più forti di prima. Penso che non può esserci persona al mondo che non abbia calpestato una…, e, se mai esiste, forse è ancora più fragile rispetto a chi è affondato tante volte. E’ come se avesse una corazza più leggera, rispetto a chi se n’è costruita una di ferro. Nei miei quattordici anni di vita ho avuto un po’ di delusioni, però ce n’è una  che tutt’ora non vuole andarsene. Sono un ragazzo che ha sempre preso spunto dai propri genitori, volevo farlo anche nel campo scolastico, seguire le orme di mio padre. Alla fine della terza media ho voluto intraprendere una strada molto difficile: frequentare il liceo scientifico Galileo Galilei, proprio come ha fatto mio papà. Pur essendomi stato detto che era una cosa più grande di me, ho deciso lo stesso di iniziare quella nuova avventura. I primi mesi furono belli ed eccitanti, ma non appena scoprii cosa si nascondeva dietro a quel progetto, cioè il dover dedicare allo studio tanto tanto tempo ogni giorno, iniziai a prendere paura, una sensazione di vuoto si impadronì di me. Andava di male in peggio. Avevano iniziato a fare sul serio ed io non riuscivo a stare al passo, avendo anche molte difficoltà in alcune materie e qualche lacuna in altre. Un po’ fu anche colpa mia, ma era un periodo brutto sotto tanti aspetti. Il giorno peggiore fu quando la proffe di italiano mi convocò ad un colloquio, solo io e lei, e mi disse ciò che avrei sperato non mi dicesse mai, ovvero che dovevo andarmene: quella non era la scuola giusta per me. La cosa che mi stese al suolo fu la faccia che fecero i miei genitori. Quello che, all’opposto, mi fece sorridere, fu come seppero reagire in fretta, perché cercarono subito di consolarmi e appoggiarmi nella ricerca di un percorso più facile. Non dimenticherò mai più, però, la faccia che fece mio padre quando gli dissi del colloquio, piena di amarezza e delusione nei miei confronti. T. S., IID

Tutti da piccoli desideriamo una famiglia perfetta, con mamma e papà che si amano e con dei fratelli con cui giocare. Anch’io desideravo una famiglia così, cioè unita, composta da persone che si vogliono bene e si sostengono tra di loro. Desideravo una famiglia con cui fare le vacanze tutti insieme, festeggiare Natale e Pasqua come le persone normali, passare le sere con un gioco da tavolo o a raccontarsi com’era andata la giornata. Desideravo che mamma e papà non smettessero mai di amarsi; ma purtroppo questo non è accaduto. Era iniziato normale, un giorno come tutti gli altri: mi ero svegliata presto la mattina, ero andata a scuola, avevo fatto i compiti, poi via a danza e dagli amici; ma purtroppo verso sera si trasformò nel giorno più brutto della mia vita. I miei genitori dopo cena chiamarono me e mio fratello in salotto per parlare; io pensavo ci volessero dire dove avevano deciso di andare in vacanza quell’anno, invece ci annunciarono una cosa che non mi sarei mai aspettata. Ci dissero che, dopo varie discussioni, avevano deciso di separarsi e che quindi da quel momento in poi sarebbero cambiate molte cose. Dentro di me prese posto una sensazione mai provata prima: ero veramente triste, come se la mia vita per un momento si fosse fermata. Tutti quei sogni di una famiglia perfetta svanivano, uno alla volta. C. T., IID

Ancora lui, il numero otto, prende palla e avanza fino alla porta avversaria, si ritrova davanti al portiere, i tifosi stanno già esultando, la palla aspetta solo di essere scaraventata in rete, è tutto fatto, ma improvvisamente ….silenzio, accompagnato da un urlo sofferente, doloroso pure per gli spettatori. Il numero tre della squadra avversaria, pur di non prendere goal, si è buttato in scivolata, ma non ha beccato il pallone. La caviglia del numero otto, piuttosto, è stata colpita in pieno, con una potenza tale da provocare una frattura scomposta. La carriera calcistica del povero numero otto finì in quel momento, cioè la carriera calcistica di mio zio. Proprio così, il talentuoso numero otto, che giocava nella primavera di una squadra di serie A inglese, era lui! Quello che, per tutta la vita, aveva fatto tanti, anzi tantissimi sacrifici per realizzare il suo sogno. Dopo l’operazione alla caviglia, la tristezza era tanta da farlo andare in depressione. Solo i farmaci e un buono psicologo gli hanno fatto capire col tempo che la vita va avanti e dopo un colpo così doloroso può solo migliorare. Ancora oggi, però, quando mio zio vede un gruppo di ragazzini giocare a pallone su un semplice prato, la tristezza, la malinconia e il dolore dentro di lui sono implacabili. L. T., II D

Ero piccolina, piena d’immaginazione. I miei genitori mi ricordano come una bambina solare, sorridente, sempre allegra. In quel periodo a loro serviva proprio una ventata di risate, un attimo per pensare che tutto sarebbe andato bene: ma io non lo sapevo. Avevamo ristrutturato tutto il piano inferiore della casa. Il nonno si trasferiva da noi! La taverna era diventata come una prestigiosa suite di un grande albergo: la cucina linda, un grande tavolo in legno, un letto fatto bene con lenzuola stirate che occupava un bel po’ di spazio, il bagno pulito e una tv. Il nonno si trasferì in autunno. Io ero alle elementari, mio fratello all’asilo. Era veramente bello stare giù in taverna con lui: che bella idea avevano avuto i miei! Saremmo stati sempre tutti insieme, a giocare e a volerci bene! Ogni tanto la mamma andava col nonno all’ospedale (io lo sapevo cos’era, perché proprio quell’estate mi ero rotta un sopracciglio e al pronto soccorso mi avevano messo dei punti). A volte non li vedevo per ore e quando tornavano a casa lui non aveva mai voglia di giocare e lei era sempre con gli occhi pesanti e stanchi. Un giorno con papà ci andai anch’io: restammo fuori in un parco veramente immenso; mentre il palazzo mi metteva un po’ in soggezione: era bianco, enorme. Si vedevano molte persone che camminavano a passo svelto, ma anche altre spinte nelle carrozzine. Quando ci tornai, aspettavamo in una grande sala piena di sedie, la mamma era sempre in allerta, ma le infermiere, secondo me, non ci facevano caso perché non le davano neanche un abbraccio per tranquillizzarla; quindi ci pensavo io. Poi, un giorno di febbraio, tutto grigio, nuvoloso e brutto, la mamma e il papà si vestirono bene, ma di nero. I nonni paterni ci portavano a fare una gita, mio fratello e me. Passando in macchina, notai che in piazza c’erano tante persone, tutte in nero anche loro, come i miei genitori. Era una settimana che non vedevo il nonno. Mi mancavano i mandarini da mangiare assieme a lui, ma anche i suoi abbracci. Non andammo più in quel palazzo bianco. La mamma, però, aveva sempre l’espressione di quando tornava col nonno dalle loro gite all’ospedale. Poi un giorno, con la zia, andai dove si salutava sempre la bisnonna. C’era una foto nuova, quella del nonno, e grandi mazzi di fiori attorno, multicolori. Io non piansi, anzi risi, forse per darmi un contegno, per nascondere che un mondo mi crollava alle spalle. La taverna tornò un buco in cui noi conserviamo la roba. Adesso devo mangiarli con mio fratello, i mandarini. Mi manca non poter sentire il nonno che dice su alla mamma quando ha torto; ma ci sono io, per questo, ora. A. D.F., IID

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